Quando ho scritto per la prima volta questo post era un assolato giorno di gennaio.
Ero sdraiata su una spiaggia nera, in costume, coperta di crema dalla testa ai piedi. La nana era a casa con il papà che faceva la nanna, erano le tre di pomeriggio. L’asciugamano bianco e grigio, qualche turista svogliato come me, solo un po’ più rosso che in fin dei conti non sono certo nordica.
Un libro, un’oretta di solitudine, la musica dell’iPhone random. Un Bob Marley, un Santana, i Coldplay, Daniele Silvestri, David Bowie e la sua ribellione, una Cheyenne degna di altre situazioni, Eric Clapton che mi ricorda i tempi dell’università, quando si andava alle feste in bici sotto la neve, la Nannini e Bennato che cantano di notti magiche di 24 anni fa, i Green day, l’ombelico del mondo di un Jovanotti dell’anno della maturità e poi boom! un Kiko Veneno d’antan, che mi aveva portato dritto dritto a Bruxelles.
Quando tutto sembrava possibile, si tu no te das cuenta de lo que vale, il mondo es una tonteria…
quando si andava a mangiare fuori e da poveri stagiares squattrinati ci si faceva fare conti separati, sennò non c’avrebbero rimborsato… quando si facevano le collette per fare le cene, si andava a mangiare la pizza dai napoletani e la si pagava peso d’oro, ma che buona che era….
Su quella spiaggia avevo avuto la rivelazione.
(sì, gennaio. in ritardo di un mese)
il 29.
L’emmeti scadeva il 28, a mezzanotte. Bastava non programmare il post e pubblicarlo subito. Quindi da telefono togli la programmazione e il post rimane lì, in un angolo.
Così come il blog.
Così come la mia vita.
In un angolo, in attesa di risposte, di certezze, di telefonate.
Che non arrivano. E allora decidi che forse è ora di staccare. E intanto ti tagli i capelli. Che male non fa mai. E decidi che forse è il caso di seguire i tuoi sogni e mollare le certezze. Che sticazzi. E perdonate il francesismo. Che ormai la nana fa 9 mesi, ed è grandina.
E allora, invece di riscrivere tutto il post da capo, lo pubblico oggi, così com’è.
Perché tutto nasce da lì.
Da quella canzone.
Carbonnades à la flamande (paro paro da Il Libro del Cavolo di Sigrid Verbert)
1 kg di spezzatino di manzo tagliato a pezzi grossi
4 cipolle bianche
150 gr di pancetta tesa
1 birra belga
4 fette di pane raffermo (io uso pane in cassetta tostato)
senape a l’ancienne
timo
alloro
zucchero di canna
aceto di vino bianco
olio e burro
sale e pepe
In una padella larga fate scaldare l’olio e rosolate bene la carne, poca per volta, a fuoco vivace, finchè non è ben dorata su tutti i lati. Man mano che la rosolate tenetela da parte.
Rosolate in un padellino pulito la pancetta tagliata a striscioline e poi tenetela da parte, scolandola dal grasso che avrà rilasciato.
Sbucciate e tagliate a fettine le cipolle, mettetele in una pentola capiente col fondo ben spesso, con due noci di burro, a rosolare a fuoco bassissimo, finché non sono diventate trasparenti, mescolando spesso. Aggiungete un cucchiaio di zucchero di canna per far caramellare, poi sfumate con l’aceto e fatelo evaporare. Aggiungete ora la carne e la pancetta (nel caso in cui la carne non sia stata rosolata bene vi trovate ora del sangue, buttatelo), mescolate bene e sopra mettete le fette di pane sulle quali avrete spalmato generosamente la senape. Aggiungete timo e una fogliolina d’alloro, salate e pepate, poi versate la birra a coprire il tutto. Portate a bollore, abbassate la fiamma e coprite. Dimenticatevene per almeno due ore. Più cuoce meglio viene, 3 ore sarebbero perfette… Controllate il sale ed eventualmente regolate. Se il sughetto dovesse essere troppo liquido fate bollire a fuoco vivace per qualche minuto, senza coperchio.
Servite con patatine fritte e con la stessa birra che avete usato per cuocere la carne.
[…] mese ce l’ho fatta. O meglio, non sono andata in aceto come il mese scorso, non ho fatto le corse, non ho fatto casini con la programmazione dei post. Sto mese ci sono […]