La prima volta che sono venuta a Bassano avrò avuto 6 o 7 anni, ero con mamma e papà e la cosa che mi è rimasta impressa, oltre al Ponte Vecchio, è stata proprio il nome: Bassano del Grappa. Mi ricordo che chiesi il perché di quel nome buffo, e mio papà, serissimo, mi rispose che si chiamava così perché tutti facevano la grappa. Quindi, nel mio immaginario di seienne, a Bassano erano tutti ubriaconi. Cosa che in effetti si è anche rivelata vera, ma questa è un’altra storia.
Poi son passati gli anni, ho iniziato a frequentare la Bassano by night ai tempi dell’università, poi ho conosciuto marito, bassanese doc, mi son sposata e dopo un anno a Vicenza ci siamo trasferiti qui, nella patria della grappa. Nel frattempo ho scoperto che la grappa c’entrava poco, ma tant’è, nel mio immaginario (no)i bassanesi son tutti grappaioli e ubriaconi. 🙂
E quindi sì, parliamo di grappa. Grappa Poli.
Poli. Che non è proprio di Bassano-Bassano, l’azienda si trova a Schiavon, a una quindicina di km da qui. Azienda a carattere familiare che più familiare non si può, fondata da GioBatta Poli, che vendeva vino e cappelli di paglia, ma che, da buon bassanese, distillava in casa. E da buon uomo del profondo e operoso nord-est si costruì una distilleria su ruote e iniziò a girar le case e a distillare le vinacce altrui. Era il 1898. Generazione dopo generazione, siamo arrivati al 2016, ora a capo della baracca c’è Jacopo Poli, che guida l’azienda di famiglia con i fratelli Barbara e Andrea. Cosa è cambiato nel corso degli anni? Gran poco, sono stati ammodernati gli impianti, anche se in distilleria c’è ancora il primissimo carretto di GioBatta.
È un’azienda così familiare che quando sono stata invitata con altre blogger a una giornata passata tra alambicchi a distillare, ci hanno offerto il pranzo preparato con le loro manine, nella loro cucina, proprio come si fa in famiglia. La sensazione di calore che si percepisce in distilleria è una cosa che purtroppo non si riesce a spiegare, ma siamo state accolte con sorrisi, professionalità, grembiuli per distillare, teglie di lasagne, panettoni alla grappa (avete mai assaggiato questa squisitezza?) e taaaanta cordialità. Un’intera giornata per farci vedere come lavorano, per farci assaggiare i loro prodotti, per farci capire che
“Distillare buona Grappa è semplice: bastano vinacce fresche e cento anni di esperienza”
E quindi abbiamo distillato, abbiamo lavorato come provette grappaiole (in fin dei conti l’hashtag della giornata era #grappaioliperungiorno), abbiamo mangiato, riso, scherzato con la famiglia Poli. Ma la cosa più emozionante, e ve lo dice una che di grappa capisce poco e che adora le aromatizzate (camomilla, miele e mirtillo su tutte) ma di grappe vere è a zero, dicevo, la cosa più emozionante è stata poter assaggiare la Poli Paulillac, un’acquavite di vinaccia del più prestigioso vino del mondo, il Château Lafite Rothschild – Premier Cru di Pauillac – Medoc. Non si può chiamare grappa, perché è prodotta con vinacce francesi, di un vino che definire spaziale è poco (e che, grazie Signore, grazie, ho in cantina…) ma il suo gusto è complesso, maestoso e avvolgente, sa di frutta rossa matura, miele, marzapane, camomilla, liquirizia, vaniglia. OK, lo ammetto, info prese dalla scheda tecnica, io non ho il palato così raffinato, ma vi posso solo dire che è estremamente affascinante e godereccio. E potrebbe essere un regalo di Natale per un papà burbero, un marito che negli ultimi 10 anni ha ricevuto troppe sciarpe e maglioni, il vostro capo se siete in odor di promozione, o semplicemente per voi. Ché si sa, ogni tanto una piccola gratifica ci sta sempre!
Trovate altri racconti di questa piacevole giornata da Monica de La cucina di Monica, Roberta di Facciamo che ero la cuoca? , Elisa de Il fior di cappero e da Davide di Angel’s Share.
Lascia un commento