A Natale sono sempre stata una da pandoro. Mi piacciono le cose soffici, non mi piacciono i canditi, sopporto a malincuore le uvette, odio la glassa sopra qualsiasi cosa, io iniziato a mangiare le mandorle soltanto da qualche anno. Ma così, intere, perché nei dolci non le sopporto. Un giorno, non so perché, mi sono messa in testa che dovevo farmi da sola il pandoro. La prima volta sarà stato 5 o 6 anni fa, ovviamente non aveva la pasta madre, non sapevo un tubo di lievitati, facevo la pizza con un cubetto di lievito per 500 g di farina, a volte ci mettevo pure il latte. Per cui, non lo nego, la prima volta è stato veramente complicato.
Non sapevo niente di gestione del lievito, di tempi di lievitazione, di temperature costanti, non sapevo niente di niente. Pensavo che tutte le farine fossero uguali, che tutti i burri fossero uguali, l’unica accortezza che avevo è che compravo uova biologiche semplicemente perché mi sembrava che le galline potessero essere più felici.
E sì, credo si possa definire come il culo del principiante, il mio primo pandoro è venuto semplicemente perfetto.
Il secondo e il terzo sono state due debacle assolute, ma noi tutti ci ricordiamo soltanto il primo, vero?
Nel frattempo ne ho fatta di strada, ho iniziato a capire che le farine non sono tutte uguali, che la Manitoba non si usa per fare la pizza che impasta alle quattro del pomeriggio e si mette in forno alle 7:30 di sera. Ho iniziato ad usare soltanto determinati tipi di farine, non la prima presa al volo al supermercato, magari quella in offerta a 0,19 € al chilo. E allora la 00 soltanto per i dolci, e neanche tutti perché alcuni supportano benissimo una farina semi-integrale. Anzi, tante volte ne guadagnano persino in gusto e in salute. E poi c’è tutto l’ambito delle farine zero, delle farine di forza, dell’integrale, delle semi-integrali, crusca sì crusca no…
Inizi a capire che cosa vuol dire incordare, cosa vuol dire fare le pieghe, e non sono solo quelle che vai a fare dalla parrucchiera il venerdì pomeriggio per essere in ordine per il weekend, inizi a capire il senso del riposo, della maturazione, della doppia levitazione, l’importanza della formatura. Inizia a diventare un po’ meno difficile, quando hai qualche competenza, e sai capire dove sbagli e perché è venuto un buco grande come un cratere in quel pane, che magari sembra tanto bello, ed in verità è soltanto un errore, inizi a capire che le altre idratazioni nel pane e nella pizza sono una cosa buona e giusta, un po’ più difficile da gestire ma rendono il lievitato molto più buono e molto più digeribile. Inizia capire che se tua figlia ti chiede la pizza alle quattro di pomeriggio riesci a mangiarla per cena, ma solo se la vai a prendere. In pizzeria.
L’importante è capire, sapere quello che si sta facendo e cercare di farlo al meglio.
Ma ritorniamo all’inizio. Amo il pandoro, non vado matta per il panettone e non mi piace assolutamente la colomba.
Odio la glassa della colomba, odio la pasta che sembra sempre “gnucca”, e secondo me una colomba non va bene nemmeno per essere pucciata nel latte. E ne ho assaggiate, non solo quelle da supermercato in offerta a un euro e 99 il giorno di Pasquetta, anche le colombe di pasticceria. Semplicemente non mi piace.
E quindi io per Pasqua quest’anno mi faccio la fugassa. Si tratta di un pane pasquale tipico del Veneto, zuccherato, in origine era il dolce di poveri: veniva preso l’impasto base del pane e, in occasione delle feste pasquali, venivano aggiunte le uova, il burro e lo zucchero, tutto in quantità limitata, perché erano ingredienti costosi. L’ho fatta per la prima volta una decina di giorni fa, copiando spudoratamente la ricetta di Morena, che trovate qui. L’ho un po’ modificata, ho aumentato leggermente le dosi di burro e zucchero, non troppo però perché comunque la focaccia rimane un dolce povero.
Elemento caratteristico della fugassa è l’aroma Spumadoro. Sì, è un aroma assolutamente chimico, ma tutte le fugasse della nostra infanzia hanno quello stesso profumo. Ho provato anche a usare una pasta di agrumi che avevo fatto quest’questo inverno per il panettone e che avevo messo in freezer, da scongelata profumava un sacco, soltanto che il profumo si perde totalmente in cottura. E allora andiamo di chimica, continuiamo a usare lo Spumadoro.
Giusto perché abbiamo iniziato parlando di farina, per questa fugassa ho usato una farina zero biologica del Molino Quaglia, per l’esattezza questa. È perfetta per questo dolce, per i lievitati un pochino più importanti, per pane e pizza fatti magari il giorno prima.
- 670 g di farina forte
- 80 g di latte tiepido
- cinque uova biologiche
- 5 g di lievito di birra disidratato
- 180 g di burro
- 200 g di zucchero
- un cucchiaino di sale
- cinque cucchiai di aroma Spumadoro
- un cucchiaio di latte per spennellare
- 30 g di zucchero in granelli
- Ore 7:00, LIEVITINO In una ciotola grande sciogliete il lievito nel latte mescolando con la forchetta, aggiungete 25 g di zucchero e 135 di farina. Impastare bene e lasciate raddoppiare. Ci vorrà circa un'ora.
- Ore 8:00, PRIMO IMPASTO. Prendete il lievitino, aggiungete 260 g di farina, due uova intere e un tuorlo, 100 g di zucchero. Impastate con il gancio a foglia finché non inizia a incordare, poi passate all'uncino, tenete l'incordatura, unite poco per volta 90 g di burro tirato fuori dal frigo una decina di minuti prima e tagliato a pezzi. Se avete difficoltà a incordare, togliete il gancio e rimettete la foglia, unite il burro poco per volta questa cosa indispensabile. E quando con la foglia tiene la corda, passate al gancio. Fate lievitare coperto fino a raddoppio.
- Ore 12:30, SECONDO IMPASTO. Quando l'impasto è lievitato, riprendetelo, aggiungete 275 g di farina, le altre due uova e l'albume, i 100 g di zucchero rimasti, i cucchiai di aroma Spumadoro, il cucchiaino di sale e poi portate a incordatura. Come prima, partite dalla foglia, poi cambiate passando all'uncino quando tiene la corda, aggiungete il burro, sempre come prima, tirato fuori dal frigo 10 minuti prima e tagliato a pezzetti, poco per volta. Ci vorrà circa una mezz'oretta, 40 minuti. Nel caso in cui doveste fare fatica, spegnete l'impastatrice, con le dita tirate giù dai bordi della ciotola l'impasto e portatelo nella parte più bassa della ciotola, e riaccendete. Se ancora non incorda, togliete l'uncino e rimettete la foglia. Quando incorda, passate all'uncino.
- Alla fine dovete ottenere un impasto piuttosto morbido, ma elastico e liscio. Copritelo e mettetelo a lievitare fino al raddoppio.
- Ore 19:30, PIRLATURA. Anche qui come sempre l'orario è indicativo. Quando l'impasto è raddoppiato, tiratelo fuori dalla ciotola e mettetelo su un piano, lasciate sgonfiarlo leggermente e dategli la forma. Portate le mani nella parte più indietro e lontana da voi della palla e tiratela verso di voi, in modo da farla rotolare su se stessa. Girate di 90° e ripetete, finché non avrete una palla perfettamente liscia. A questo punto l'impasto è pronto, posatelo in uno stampo da panettone basso da 1 kg e fatelo lievitare senza coprirlo. Sarà pronto per la cottura quando arriva a poco più di 1 cm dal bordo. Ci vorranno indicativamente due ore. Praticate un taglio a croce con una lametta o con un coltello molto appuntito sulla superficie, sollevate delicatamente i lembi della croce, mettete sotto a ogni lembo un piccolo pezzetto di burro e richiudetelo. Pennellate con un cucchiaio di latte, cospargete di granella di zucchero e infornate a 165 °C per circa 55 minuti. Dopo una ventina, controllate e se dovesse scurire troppo coprite con un foglio di alluminio. Sfornate subito, mangiate fredda.
- Il giorno dopo gli aromi si assestano e il gusto sarà migliore; nel caso in cui non la mangiate subito, conservatela in un sacchetto di plastica per alimenti spruzzato dentro con alcool da cucina. Serve a prevenire le muffe.
Per semplicità, l’impasto è incordato quando sia stacca perfettamente dalle pareti che rimangono pulite ed è in un blocco unico, arrotolato attorno all’uncino della dell’impastatrice.
Con le dosi che vi propongo io la fugassa rimane un po’ più dolce e più burrosa, ma è più lunga da incordare che nelle dosi originali.