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Sua maestà, il Parmigiano Reggiano

 

Foto del Consorzio Parmigiano Reggiano

Avete mai letto gli ingredienti del Parmigiano Reggiano?

Latte, sale, caglio. Stop.

E latte di vacche italiane, alimentate solo con  di mangimi a base di cereali, acquistati da imprese certificate e vieta l’uso di foraggi fermentati (no all’insilato di mais). E si fa così da sempre, ed è per questo che è buono, sano, digeribile, adatto all’alimentazione del neonato e dell’anziano.

E sabato scorso, insieme alle signore e al signorino qui sopra, sono stata invitata dal consorzio Parmigiano Reggiano ad un anteprima della manifestazione che si terrà il 25 e il 26 aprile, Caseifici aperti.

Abbiamo visto come si fa il Parmigiano Reggiano (si, quello che la nana divora da quando è nata, ma solo in pezzi grossi che i pezzi piccoli mamma non mi tolgono la fame del pancino…)

Il latte che arriva in caseificio dalla mungitura serale viene messo nelle vasche per far separare la parte grassa da quella magra. La mattina la parte grassa si toglie e si usa per fare il burro, si tiene il latte magro e si aggiunge il latte appena munto ed arrivato in caseificio. Il casaro aggiunge il siero innesto (siero del giorno precedente, fermentato in bacinelle di acciaio, praticamente una coltura di batteri lattici) e il caglio, un enzima dallo stomaco del vitello.Bastano una decina di minuti per far cagliare il latte. Il casaro allora  lo rompe con uno strumento che si chiama spino, (inizialmente si usava un palo circondato da rovi) in pezzetti grandi come un chicco di riso. E’ a questo punto che entra in scena il fuoco, per una cottura che raggiunge i 55°, al termine della quale i granuli caseosi precipitano sul fondo della caldaia formando un’unica massa, che si divide in due.

Da una caldaia si ottengono 2 forme da 45 kg, ogni kg di parmigiano si ottiene da 7 l di latte. Finita la fase di cottura, si lascia un’ora a depositare. La parte che affiora è il siero cotto, che domani serve per fare il siero innesto. Si deposita la componente proteica e grassa con gli zuccheri del lattosio.

Dopo un’ora si divide la massa in due, si avvolge in una tela, detta schiavino e si mette nelle fasce di teflon (ora non è più cagliata, è già formaggio), e per 72 h continua il processo di acidificazione. Si aggiunge una placca di caseina, con l’identificazione del caseificio.

E’ un formaggio a pasta dura, cotto e a lenta maturazione, almeno 12 mesi prima di essere messo in commercio.

Già la prima sera si cambia la fascia e se ne mette una di metallo, al termine del 3° giorno si mette in salatura. Si toglie la fascia e si mette nelle vasche con acqua e sale. Le forme vengono girate una volta al giorno, per 20 gg. Poi vengono messe a stagionare, in una sala a temperatura e umidità controllata.

Ogni singola forma viene battuta con un martello al 12º mese,  per verificare la presenza di buchi, che sono i difetti. Se passano la prova vengono marchiati come DOP e possono venire messi in commercio.

Volete un assaggio? 🙂

Dopo aver visto come si fa il Parmigiano ci siamo spostate a Polesine Parmense, all’Antica Corte Pallavicina, dove lo chef Massimo Spigaroli ci ha mostrato come valorizzare al massimo questo meraviglioso formaggio, in un menù totalmente dedicato.

 

 

Qui sotto, in ordine:

– Pensiero dell’orto, con maionese verde e bottarga di carpa
– Raviolo con ripieno di tuorlo e crema di parmigiano, condito con burro noisette, limone e rosmarino
– Soffici ai tre Parmigiani in brodo di gallina, con piselli e asparagi, in crosta di sfoglia
– Filetto di maialino nero ripieno di Parmigiano e culatello
– Fragole con biscotto alla polvere di sedano, streusel di cioccolato e ganache al cioccolato bianco e Parmigiano

Un particolare di una sala, della meravigliosa cantina di stagionatura dei culatelli e della sala da pranzo dove siamo state accolte.

Qui sotto le mie compagne (e compagno) di avventura!

Elisabetta Gavasso:
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